L’emicrania colpisce circa il circa 12% degli individui della popolazione generale. Sebbene possa verificarsi a tutte le età, la sua prevalenza è più bassa nei bambini e negli anziani mentre raggiunge un picco nella fascia d’età compresa fra 25 e 39 anni che corrisponde a quella della massima produttività (1).
A partire dall’epoca del menarca, si osserva una prevalenza nettamente più elevata nelle donne rispetto agli uomini.
Il Global Burden of Diseases colloca l’emicrania fra le dieci patologie neurologiche più disabilitanti nella popolazione mondiale ed al primo posto come causa di disabilità al di sotto dei 50 anni (2).
L’impatto sociale di questa patologia è elevato sia per i relativi costi diretti, dovuti ad indagini diagnostiche e cure che per quelli indiretti, che sono di gran lunga più gravosi e che derivano dalla perdita di giornate lavorative e di produttività (3).
Gli aspetti psicopatologici dell’emicrania rappresentano da lungo tempo un tema di ricerca di grande interesse. Negli anni ‘50 Wolff individuò un caratteristico pattern di personalità e descrisse il paziente emicranico, specie se donna, come un soggetto incline al perfezionismo e al nevroticismo (4).
In tempi più recenti, risultati di numerosi studi epidemiologici, nell’ambito dei quali quelli di Breslau e Merikangas rappresentano vere e proprie pietre miliari, mostrano che gli emicranici hanno un rischio da 2 a 4 volte più elevato di depressione maggiore rispetto ai non emicranici. (5,6,7)
L’associazione fra depressione ed emicrania appare più forte nella forma con aura rispetto a quella senza aura. Nei pazienti con depressione associata ad emicrania, i sintomi dell’attacco emicranico, inclusi osmofobia ed allodinia, sono positivamente correlati con la gravità dei sintomi depressivi. Inoltre chi soffre di depressione sembra essere più incline a non rispondere ai trattamenti antiemicranici e ad incorrere nell’abuso di sintomatici (5,6,7).
Osservazioni longitudinali hanno fornito alcune evidenze a supporto dell’esistenza di un rapporto patogenetico di tipo bidirezionale fra emicrania e depressione (5,6,7).
Il rischio di soffrire di disturbo bipolare è circa due volte più elevato negli emicranici rispetto ai non emicranici. D’altro canto in pazienti con disturbo bipolare, l’emicrania è correlata ad alcuni fattori prognostici negativi come insorgenza precoce, cicli più rapidi ed episodi depressivi più gravi e più frequenti (8).
Nella popolazione emicranica, i disturbi ansiosi sono ancora più frequenti di quelli depressivi e tra questi, l’ansia generalizzata, il disturbo ossessivo-compulsivo e il disturbo da attacchi di panico.
Anche per l’ansia è stato ipotizzato un possibile rapporto causale di tipo bidirezionale con l’emicrania. Studi sul polimorfismo del gene del trasportatore della serotonina hanno evidenziato in entrambe le condizioni una maggiore frequenza dell’allele s, suggerendo la possibilità di una base genetica comune (5,6,7).
Anche il disturbo post-traumatico da stress, talvolta correlato ad una storia personale di abuso o di abbandono, appare particolarmente frequente in pazienti affetti da emicrania (5,6,7).
E’ stato dimostrato che il grado di disabilità, ed i costi diretti ed indiretti dell’emicrania aumentano con la frequenza degli attacchi e in rapporto alla comorbidità psichiatrica (9).
La comorbidità psichiatrica è inoltre considerata tra i fattori di rischio di cronicizzazione dell’emicrania, peraltro modificabile, se il disturbo psichiatrico viene precocemente diagnosticato ed adeguatamente trattato (5,6,7).
La frequenza con cui l’emicrania si associa a sintomi e disturbi psichiatrici è così elevata da rendere improbabile che il loro legame sia di tipo casuale. Per spiegare questa associazione sono state avanzate numerose teorie che chiamano in causa una possibile comune disfunzione neurotrasmettitoriale, serotoninergica o dopaminergica. Un ruolo importante potrebbe essere svolto dallo stress (anche causato dal ripetersi degli attacchi) e dalla conseguente iperattività del sistema ipotalamo-ipofisi-surrene (6).
Studi di neuroimaging mostrano nell’emicranico la presenza di alterazioni funzionali o strutturali in aree cerebrali coinvolte nella risposta emotiva al dolore quali la corteccia cingolare anteriore, l’insula, la corteccia prefrontale, l’ippocampo e l’amigdala (6). Queste alterazioni sono state interpretate come espressione di una anomala processazione affettivo-motivazionale degli stimoli nocicettivi che include le reazioni emotive al dolore, luce, rumore ed odori (6). A conferma di tale interpretazione, è stato rilevato che gli emicranici mostrano una maggiore attivazione di tali aree in risposta ad uno stimolo doloroso rispetto ai non emicranici e che, in condizioni di riposo, sono caratterizzati da una più forte connettività tra le aree affettivo-motivazionali e quelle responsabili della discriminazione degli stimoli sensoriali. Simili aspetti sono stati riscontrati anche in pazienti con depressione ed con altri disturbi psichiatrici facendo ipotizzare che possano in qualche modo rappresentare un link patogenetico comune (6). L’analisi dei dati di studi genetici condotti su ampie casistiche indicano che almeno in un sottogruppo di soggetti, l’emicrania possa essere un sintomo o una conseguenza della depressione (6).
Tuttavia, secondo gli esperti che hanno curato la stesura della classificazione internazionale delle cefalee attualmente in vigore, le evidenze scientifiche finora disponibili non sono sufficienti a dimostrare con certezza l’esistenza di un rapporto di causalità fra disturbi depressivi, disturbi ansiosi o disturbi correlati a stress/trauma ed emicrania o altre forme di cefalea, pertanto le cefalee attribuite rispettivamente a questi disturbi psichiatrici non vengono riconosciute come entità nosologiche da utilizzare nella diagnosi clinica, ma vengono elencate in appendice con l’indicazione ad utilizzarle solo a scopo di ricerca (10). Vi sono solo due eccezioni: la cefalea attribuita a disturbo somatoforme e la cefalea attribuita a disturbo psicotico (10).
Dal punto di vista clinico, negli emicranici, la comorbidità con sintomi o veri e propri disturbi psichiatrici va sempre ricercata e la diagnosi può essere facilitata da interviste semistrutturate e questionari ad hoc.
Vi sono pochi studi riguardanti gli effetti delle terapie antiemicraniche sulla comorbidità psichiatrica e sebbene non si possano finora avanzare conclusioni definitive su questo aspetto, alcune evidenze su piccoli campioni di pazienti mostrano che il trattamento precoce e specifico dell’attacco emicranico determina un miglioramento dei sintomi depressivi rilevati con specifiche scale. Analogamente la terapia preventiva con tossina botulinica in emicranici con ansia e depressione sembra indurre, parallelamente al controllo dell’emicrania, anche un miglioramento della patologia psichiatrica, rilevato attraverso la riduzione dei punteggi riportati in scale specifiche (es. Beck Depression Inventory, Generalised Anxiety Disorder Assessment 7) (6). In alcuni casi è importante la consultazione psichiatrica sia per definire la diagnosi che per coordinare gli interventi terapeutici.
Nella scelta del programma terapeutico occorre evitare farmaci riconosciuti come efficaci nella profilassi antiemicranica ma in grado di peggiorare il disturbo concomitante (es. topiramato in caso di emicrania e depressione).
Vanno preferiti farmaci che, possibilmente in monoterapia ed a basse dosi, siano in grado di controllare entrambi i disturbi (es. propranololo nei casi di ansia lieve).
L’associazione con trattamenti non farmacologici (rilassamento muscolare progressivo, biofeedback, tecniche cognitivo-comportamentali) può avere effetti terapeutici sinergici con benefici più duraturi e senza effetti collaterali (6).
In questa categoria di pazienti è importante valutare la presenza di sovrappeso e programmare un adeguato regime dietetico (es. dieta chetogenica) associato a norme comportamentali che vadano ad integrare la restante terapia contrastando anche i potenziali effetti indesiderati sul peso determinati da alcuni farmaci (es. amitriptilina, flunarizina etc).
In conclusione dal punto di vista epidemiologico, socio-economico e clinico il problema della comorbidità fra emicrania e disturbi psichiatrici appare rilevante ma occorrono ulteriori studi per stabilirne con certezza la natura.
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